I dati del MEF parlano chiaro: le richieste di credito d’imposta per le Zone Economiche Speciali del Mezzogiorno hanno raggiunto 11,4 miliardi, a fronte di risorse effettive pari a poco più di un quinto. Un segnale evidente che qualcosa non funziona: quando le regole cambiano in corsa e le risorse si riducono ex post, l’incentivo perde la sua funzione di leva economica.
Il credito d’imposta, per definizione, non è un bonus, ma uno strumento di politica industriale. Serve a orientare e sostenere gli investimenti produttivi, integrando mezzi propri, finanza bancaria e agevolazioni in un piano coerente.
Ma questo accade solo se le imprese hanno certezza delle condizioni di accesso, dei tempi e delle risorse disponibili. Senza questa stabilità, la finanza agevolata smette di essere una leva di programmazione e diventa un rischio contabile: un fattore da calcolare dopo l’investimento, invece che prima.
Se vogliamo che le ZES diventino davvero un motore di sviluppo per il Mezzogiorno, serve una governance più prevedibile, trasparente e orientata alla programmazione, non alla competizione per risorse limitate. La finanza agevolata crea valore solo quando aiuta l’impresa a pianificare, non quando la costringe a inseguire.
Ne abbiamo parlato con il direttore tecnico di Telematica Italia, Carmine Calvanese.
I dati diffusi dal MEF parlano di oltre 11,4 miliardi di richieste per il credito d’imposta ZES, a fronte di risorse disponibili molto inferiori. Cosa ci dicono questi numeri?
“Questi numeri ci dicono che il meccanismo attuale non garantisce alle imprese la certezza necessaria per programmare gli investimenti. L’importo delle richieste è più di cinque volte superiore alle risorse disponibili: significa che molte imprese, pur avendo pianificato e in alcuni casi già avviato gli investimenti, rischiano di vedersi riconosciuto un beneficio molto inferiore a quello atteso. E questo quadro è destinato a peggiorare, perché mancano ancora le richieste che arriveranno dalle zone assistite 107c delle regioni Umbria e Marche, territori che, in quanto regioni in transizione, sono stati recentemente inclusi nel perimetro delle misure di rilancio. Ricordo infatti che il Consiglio dei Ministri, nella seduta n. 138 del 4 agosto 2025, ha approvato con procedura d’urgenza un disegno di legge che introduce disposizioni specifiche per il rilancio dell’economia nei territori delle Marche e dell’Umbria. Questo significa che le domande di credito d’imposta potrebbero ulteriormente aumentare, aggravando un quadro finanziario già oggi sbilanciato rispetto alle risorse effettivamente disponibili”.
Perché questa incertezza è un problema economico, non solo amministrativo?
“Perché l’agevolazione fiscale non è un premio ex post, ma una leva di politica industriale. Se ben strutturata, serve a orientare gli investimenti, a migliorare la produttività e a favorire la coesione territoriale. Ma questo accade solo se le imprese possono contare su regole chiare, tempi certi e risorse stabili. Quando invece le modalità attuative cambiano in corsa o le risorse vengono ripartite a posteriori, l’incentivo perde il suo valore strategico e diventa un elemento di rischio, non di pianificazione”.
Qual è allora il ruolo corretto della finanza agevolata in un sistema di sviluppo industriale moderno?
“La finanza agevolata deve essere parte integrante della programmazione finanziaria dell’impresa. Un’impresa che investe dovrebbe poter costruire un piano chiaro, in cui l’agevolazione cofinanzia in modo strutturale l’investimento, insieme ai mezzi propri e al credito bancario. Solo in questo modo l’incentivo diventa valore aggiunto reale, e non semplice contributo a fondo perduto e/o agevolazione fiscale come nel caso del credito d’imposta ZES”.
Cosa servirebbe, secondo te, per rendere il credito d’imposta ZES uno strumento davvero efficace?
“Occorre una revisione delle modalità attuative, che introduca criteri di certezza, prevedibilità e continuità. Le imprese devono sapere in anticipo su quali agevolazioni possono contare e in che misura, in modo da integrare queste risorse nei propri business plan. Solo così il credito d’imposta potrà tornare a essere uno strumento di sviluppo territoriale, e non una corsa burocratica per accedere a fondi limitati”.
Qual è la tua opinione sulle anticipazioni della legge di bilancio per il triennio 2026–2028, in particolare sul ritorno ai super e iper-ammortamenti e sul mantenimento dei crediti d’imposta per ZES e ZLS?
“Le anticipazioni della prossima legge di bilancio delineano un cambio di paradigma significativo nel sistema degli incentivi alle imprese. Il ritorno ai super e iper-ammortamenti, in sostituzione dei crediti d’imposta del piano Transizione 4.0/5.0, nasce dall’esigenza di semplificare le procedure e contenere la spesa pubblica, ma rischia di ridurre l’impatto immediato per le imprese, spostando il vantaggio fiscale su un orizzonte più lungo. Il pacchetto complessivo vale circa 7-8 miliardi di euro nel triennio, di cui 4 destinati all’iperammortamento, mentre restano confermati i crediti d’imposta per le ZES e, in misura molto più limitata, per le ZLS, con appena 100 milioni di euro complessivi. Se queste cifre saranno confermate, si prospettano due scenari: o la misura sarà poco attrattiva, oppure si ipotizza un livello di investimenti molto contenuto. In entrambi i casi, la portata strategica dell’intervento rischia di essere inferiore alle aspettative. Preoccupa poi il riferimento ai soli beni materiali: escludere i beni immateriali (come software, intelligenza artificiale e sistemi digitali) sarebbe un passo indietro nella politica di innovazione, relegando gli incentivi per la digitalizzazione ai soli bandi PID o a iniziative regionali di portata limitata. Infine, sul piano territoriale, bene la conferma del credito d’imposta per le ZES e ZLS, ma con risorse così ridotte sarà difficile garantire un reale effetto leva sugli investimenti, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle regioni in transizione (Abruzzo, Marche e Umbria). L’auspicio è che in fase di approvazione ci sia un correttivo, così da restituire forza, coerenza e credibilità a strumenti che devono sostenere la competitività e la programmazione delle imprese”.
Qual è il messaggio alle istituzioni?
“Serve un cambio di prospettiva: l’agevolazione deve essere concepita come leva di programmazione economica, non come una ‘lotteria fiscale’. Il Paese, e in particolare il Mezzogiorno, ha bisogno di politiche industriali stabili, prevedibili e coordinate, capaci di creare fiducia e attrarre investimenti di medio-lungo periodo. Ma oggi il tema riguarda anche le regioni in transizione, come Abruzzo, Marche e Umbria, che condividono con il Sud la necessità di strumenti strutturali per la competitività territoriale. Se vogliamo che le agevolazioni fiscali diventino davvero un motore di sviluppo, occorre una visione unitaria di politica di coesione, che non frammenti gli interventi tra ZES, ZLS e aree 107c, ma li integri in una strategia comune di rilancio produttivo. Solo così la finanza agevolata potrà tornare ad essere ciò che deve essere: una leva di crescita e programmazione per tutto il sistema delle imprese, non un meccanismo emergenziale o episodico”.