Cambiano gli incentivi e le regole per ottenere e mantenere la qualifica di “startup innovativa”. Un emendamento dei relatori al disegno di legge concorrenza, atteso al voto da lunedì nell’Aula alla Camera, dove il provvedimento è in prima lettura, riscrive ampiamente la normativa del 2012.
Le novità principali riguardano le agevolazioni in regime “de minimis”, quelle cioè che non hanno bisogno della notifica alla Ue ma prevedono un tetto per l’impresa destinataria (aiuti non oltre 300mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari). La detrazione fiscale per i contribuenti che investono in Pmi innovative - categoria diversa dalle startup - si interromperanno a fine 2024. Ma modifiche molto rilevanti riguardano anche la sezione delle startup. Dal 2025 la detrazione in “de minimis” per le persone fisiche che investono in una startup innovativa salirà dal 50 al 65 per cento. Contemporaneamente, però, arriva una serie di paletti. L’incentivo viene limitato entro il terzo anno di iscrizione, in ragione del fatto - secondo i tecnici del Mimit che hanno lavorato in prima battuta alla riforma - che è essenziale concentrare gli sforzi di incentivazione nei primi anni di vita delle imprese, lasciando poi che queste crescano, se si dimostrano competitive, con la leva del mercato. L’agevolazione non scatterà se l’investimento genera una partecipazione qualificata superiore al 25% del capitale sociale o dei diritti di governance oppure se il contribuente è anche fornitore di servizi alla startup per un fatturato superiore al 25% dell’investimento agevolabile. Gli stessi vincoli valgono per gli incentivi ordinari (non in “de minimis”) previsti, come alternativa, sotto forma di detrazione per le persone fisiche (30% dell’ammontare investito, fino a 1 milione) e deduzione dall’imponibile Ires per le persone giuridiche (30% dell’investito, fino a 1,8 milioni). Inoltre, per quest’ultime agevolazioni, è introdotto un limite di concessione de beneficio: massimo cinque anni dalla data di iscrizione nel Registro. Infine, il credito d’imposta che il Ddl del governo ha previsto per gli incubatori viene esteso agli acceleratori certificati.
L’emendamento a firma dei relatori (Fabio Pietrella di FdI ed Elisa Montemagni della Lega) è frutto di un lavoro che ha impegnato Mimit e Mef. Secondo il ministero guidato da Adolfo Urso a compensare i vari paletti inseriti nel testo c’è anche la riscrittura, in chiave espansiva, delle norme sugli investimenti qualificati di Casse di previdenza private e fondi pensione. Quest’ultime, per mantenere le esenzioni fiscali attualmente previste, dovranno investire in Fondi per il venture capital almeno il 5% degli investimenti qualificati dell’anno precedente, quota che dovrà salire al 10% a partire dal 2026. Inoltre, viene prevista l’estensione della copertura del Fondo di garanzia Pmi anche ai Fondi per il venture capital.
Il testo inserisce tra le condizioni per fregiarsi del titolo di startup innovativa quella di non svolgere attività prevalente di agenzia e consulenza, tagliando fuori un corposo gruppo di “finti” innovatori che svolgono in realtà un mero ruolo di consulenti. Sono poi introdotti nuovi requisiti per mantenere lo status dopo tre anni, cancellando però quelli (contestati dalle associazioni del settore) che erano stati previsti nel testo del governo: ovvero disporre, entro il secondo anno dall’iscrizione, di un capitale sociale di almeno 20mila euro e impiegare almeno un dipendente e dimostrare che i brevetti di proprietà o in licenza siano effettivamente utilizzati nell’attività di impresa. Sono invece sei i nuovi criteri introdotti per restare nel Registro e bisognerà possederne almeno uno: incremento al 25% delle spese di ricerca e sviluppo; stipula di almeno un contratto di sperimentazione con una Pa; aumento dei ricavi caratteristici o comunque individuati alla voce A1 del conto economico superiore al 50% dal secondo al terzo anno; costituzione di riserva patrimoniale superiore a 50mila euro, attraverso un finanziamento convertendo, o aumento di capitale a sovrapprezzo che porti a una partecipazione di minoranza, da parte di un investitore terzo professionale, un incubatore o acceleratore certificato, un investitore vigilato, un business angel o attraverso equity crowdfunding, più incremento al 20% della R&S; ottenimento di almeno un brevetto; trasformazione in Spa. La norma consente, a determinate condizioni, di estendere da cinque a sette anni (e da cinque a nove per il passaggio alla fase di “scaleup”) la permanenza nel Registro e dispone, infine, un regime transitorio per le startup già iscritte che avranno al massimo un anno per acquisire i nuovi requisiti.
Fonte: Il Sole 24 Ore, Primo Piano del 22 novembre 2024