In attesa dei decreti attuativi che daranno piena operatività alla Zes unica nel Mezzogiorno, le imprese del territorio hanno potuto contare su una serie di ulteriori misure di sostegno con la medesima finalità di agevolare la nascita o lo sviluppo delle attività imprenditoriali nell’area.
Tra questi, il primato lo merita sicuramente il bonus disposto dall’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, anche nella versione operativa nelle aree Zes di vecchia concezione e che ha contribuito non poco come volano agli investimenti. Gli elementi che hanno caratterizzato positivamente questa forma di incentivo si racchiudono in poche chiavi operative:
semplicità di accesso: per il riconoscimento del bonus era sufficiente presentare un’istanza telematica di facile approccio, cui l’agenzia delle Entrate, esperiti alcuni controlli di base, rispondeva con un provvedimento di concessione. La procedura si chiudeva in tempi rapidi, a volte in soli 30 giorni;
immediata fruibilità: l’incentivo veniva speso sotto forma di credito d’imposta, compensabile con ogni tributo o contributo suscettibile di esposizione sul modello di pagamento F24. In pratica, dal giorno successivo al provvedimento di concessione l’impresa poteva già cominciare ad utilizzare l’incentivo, abbattendo i flussi finanziari in uscita, ad esempio, per il pagamento dell’Iva e dei contributi previdenziali e le ritenute relative al personale;
ampio raggio di applicazione: l’incentivo veniva riconosciuto a tutte le imprese del Mezzogiorno. L’ambito operativo copriva tutti i settori di attività, con esclusione di quelli dell’industria siderurgica, carbonifera, della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dei trasporti e delle relative infrastrutture, della produzione e della distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche, nonché dei settori creditizio, finanziario e assicurativo e, più in generale, di quelle in difficoltà;
valore dell’incentivo: la norma attribuiva un bonus di tutto rispetto in relazione alla spesa sostenuta, quantificato nella misura del 45% alle piccole imprese, del 35% alle medie imprese e del 25% alle grandi imprese. L’unico neo di una procedura così rodata, probabilmente, è stato l’interlocutore nella fase dei controlli. L’agenzia delle Entrate è un ente i cui funzionari hanno un approccio alla verifica degli investimenti diversa da quella dei tecnici di altri ministeri, abituati ai controlli sulle agevolazioni: questo ha portato spesso a una rigidità e un formalismo nei controlli che, in alcuni casi, ha vanificato tutti i benefici della misura.
L’altro grande motore di crescita per il territorio – soprattutto per le imprese in start up - è stato sicuramente Resto al Sud, un meccanismo di aiuto gestito da Invitalia. L’incentivo è previsto dall’articolo 1, del Dl 91/17, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123. Hanno accesso ai benefici i soggetti di età compresa tra i 18 e i 55 anni che, all’atto della presentazione della domanda, siano residenti nelle regioni ammesse (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) o vi trasferiscano la residenza nei 60 giorni (120 per i residenti all’estero) successivi alla comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria.
La misura finanzia il 100% delle spese sostenute, entro il limite massimo di 50mila euro per ogni richiedente fino a un massimo di quattro. Le imprese individuali, invece, possono accedere a un finanziamento fino a 60mila euro. La norma accorda anche un contributo a fondo perduto per le spese ordinarie ( investimenti esclusi, dunque) nella misura di 15mila euro per le ditte individuali e le attività professionali svolte in forma individuale e 40mila euro per le società. Le agevolazioni sono concesse con un 50% di contributo a fondo perduto e un 50% di finanziamento bancario garantito dal Fondo di Garanzia per le Pmi, i cui interessi sono interamente a carico di Invitalia.
Fonte: Il Sole 24 Ore, Primo Piano dell'11 marzo 2024