Cinema e audiovisivo, stretta al sostegno pubblico

Sono ore di contatti febbrili per cercare di trovare una difficilissima quadratura del cerchio sulle misure in manovra riguardanti l’audiovisivo. Il presidente Anica Alessandro Usai, in un’intervista al Sole 24 Ore di ieri non ha esitato a parlare di «interventi che mettono a rischio decine di migliaia di posti di lavoro». L’opposizione con Matteo Orfini (Pd) fra i vari, parla di «governo che sta giocando con il fuoco», il sindacato Slc Cgil ha dichiarato tutta la sua preoccupazione e un «un accorato appello al Presidente della Repubblica, al Governo e Parlamento affinché il Fondo Cinema e Audiovisivo resti invariato nei suoi stanziamenti complessivi, evitando ulteriori tagli che metterebbero a rischio migliaia di posti di lavoro e un comparto strategico per l’economia e l’immagine del Paese» è arrivato anche dalle associazioni Agici, Apa, Cna.

Ad ora nella bozza della Manovra 2026, attesa in Parlamento, l’intervento è deciso, con i tagli al Fondo Unico per l’Audiovisivo, cuore del sistema di sostegno alle produzioni nazionali. Il quale vedrà la sua disponibilità ridursi da almeno 700 milioni a 510 milioni nel 2026 e scendere addirittura a 460 milioni dal 2027. In meno, quindi, 190 milioni il primo anno e 240 il secondo. Una doccia gelata rispetto agli 885 milioni del picco pandemico.

Le novità non finiscono qui. Il decreto annuale del Ministro della Cultura dovrà fissare un tetto massimo ai crediti d’imposta previsti dalla legge cinema. Tradotto: un unico plafond per tutti i bonus da distribuire, monitoraggio trimestrale e “semafori” per evitare gli sforamenti che hanno portato, come scritto sul Sole 24 Ore di venerdì 17 ottobre, a uno sbilancio fra risorse richieste e disponibili di 1,4 miliardi di euro almeno (dato comunicato a marzo dal Mic al Mef).

Dietro i numeri, la realtà è un comparto che viene da due anni di bailamme: la riforma del Tax Credit, pensata prima da Gennaro Sangiuliano poi portata a termine da Alessandro Giuli, ha lasciato ferite profonde e ritardi a catena.

Ora questo intervento che porterebbe, dice Anica, a «un disastro annunciato», con perdite non solo per le produzioni, ma per l’intera filiera: maestranze, esercenti, pubblico. I produttori chiedono un confronto urgente ai ministri Giorgetti e Giuli e anche la sottosegretaria Lucia Borgonzoni in una lettera alla premier Giorgia Meloni e ai due ministri, di cui ha parlato per primo Huffington Post, ha messo l’accento sul rischio per oltre il 60% delle produzioni e per la sicurezza di 120mila lavoratori, chiedendo di fare marcia indietro. «Interrompendo lo splafonamento, che finora ha garantito risorse anche in eccesso, cioè quando la richiesta superava il tetto – riporta il sito spiegando il ragionamento della sottosegretaria leghista – lo Stato risparmierà 350 milioni ogni anno. Se a questo si aggiunge il 10% di taglio della spesa, richiesto al dicastero della Cultura e dal valore di 300 milioni, ecco una perdita totale di 650 milioni».

Fonte: Il Sole 24 Ore, Primo Piano del 22 ottobre 2025.

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