La certificazione sulla qualificazione dei crediti ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e design può essere richiesta anche a posteriori ossia «dopo l’avvenuta effettuazione degli investimenti», ma prima dell’emissione del processo verbale di constatazione (Pvc). Lo sforzo di compliance da parte del contribuente sulla qualificazione del credito deve essere valutato dall’amministrazione finanziaria il cui atto di eventuale contestazione può essere censurato sotto il profilo della nullità. È quanto emerge dall’atto di indirizzo del 1° luglio 2025 in tema di crediti non spettanti o inesistenti firmato dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo e dal direttore del dipartimento delle Finanze Giovanni Spalletta (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
Il capitolo 3 dell’atto di indirizzo commenta la definizione di crediti non spettanti (articolo 1, comma 1, lettera g-quinquies, del Dlgs 74/2000) individuandone tre tipologie, accomunate dalla circostanza che l’attività oggetto dell’agevolazione è stata comunque effettivamente svolta e il relativo credito non può pertanto considerarsi tout court inesistente:
1 i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza;
2 i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento;
3 i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito.
Quest’ultima tipologia di crediti è quella che riguarda più da vicino i crediti d’imposta «sovvenzionali», quali i crediti per le attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica, che hanno generato le maggiori criticità interpretative e applicative.
L’atto di indirizzo richiama il giusto principio secondo cui si rientra in questo caso di non spettanza quando il credito d’imposta difetta di ulteriori elementi o qualità individuate da «fonti tecniche di dettaglio» non specificamente richiamate dalla normativa, primaria e secondaria, dell’agevolazione.
In proposito, l’atto ricorda che l’articolo 23, comma 2 e seguenti, del Dl 73/2022, ha introdotto la certificazione dei crediti ricerca e sviluppo per favorirne la fruizione in condizioni di certezza operativa ed evitare controversie sulla qualificazione degli investimenti/attività effettuate dall’impresa, che è vincolante per gli uffici.
L’atto è molto puntuale nelle sue conclusioni in quanto afferma che «se il contribuente si dota di una certificazione […] che attesti la qualificazione tecnica degli investimenti, effettuati o da effettuare, e che riguardi l’attività concretamente realizzata, un eventuale atto, impositivo o sanzionatorio, che contesti la fruizione del credito sotto l’unico profilo della qualificazione dell’investimento potrà essere censurato sotto il profilo della sua nullità, con tutte le relative possibili conseguenze sul piano giuridico, secondo i principi generali».
L’atto ricorda poi che la certificazione può essere chiesta anche dopo l’avvenuta effettuazione degli investimenti, purché eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta non abbiano già formato oggetto di un processo verbale di constatazione.
Considerato che non è prevista la comunicazione istituzionale tra ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) e amministrazione finanziaria della lista dei «contribuenti certificati», l’atto auspica che il soggetto in possesso della certificazione ne dia collaborativamente comunicazione all’amministrazione finanziaria (non è chiaro entro quale termine, come e a quale Ufficio) anche per evitare eventuali contestazioni unicamente incentrate sul profilo della qualificazione tecnica dell’investimento.
Fonte: Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi del 3 luglio 2025