Al ritmo attuale, per spendere tutti i 6,23 miliardi di euro disponibili per i crediti d’imposta del piano Transizione 5.0, servirebbero 180 settimane. Si arriverebbe, in altre parole, a maggio 2028 mentre le regole del Pnrr, da cui derivano i fondi, stabiliscono come termine ultimo il 30 giugno 2026. Per la precisione, secondo l’aggiornamento di ieri del Gse (il Gestore dei servizi energetici che cura la piattaforma online) sono stati prenotati crediti d’imposta per 484,8 milioni di euro. Inoltre, del plafond complessivamente richiesto, 471,8 milioni si riferiscono a progetti non ancora completati e solo 13 milioni a quelli già ultimati.
Alla fine, insomma, lo sforamento potrebbe essere di quasi due anni e, a meno di miracoli, inficia il successo del programma che, iniziato con grandi aspettative, ha poi attraversato notevoli traversie e tra decreto attuativo e messa online del portale del Gse è effettivamente partito solo ad agosto del 2024. Anche per questo prende quota la possibilità di definanziare una parte del programma spostando risorse su altre misure per le imprese. Ragionamenti in questo senso sarebbero stati fatti anche nel corso di incontri avuti in questi giorni dal ministro degli Affari Ue, Pnrr e coesione Tommaso Foti con esponenti dell’esecutivo oltre che con il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto.
La legge di bilancio ha introdotto alcune semplificazioni per il 5.0, ha potenziato l’aliquota per gli investimenti compresi nello scaglione più basso e ha innalzato le maggiorazioni del beneficio per l’acquisto di pannelli fotovoltaici a maggiore efficienza e made in Europe. Correttivi che, va detto, hanno portato a un’accelerazione del ritmo di presentazione dei progetti, ma a quanto pare non abbastanza, considerato il target del 2026. Riassumendo, dal 7 agosto 2024, dato di avvio del portale Gse, fino al 31 dicembre 2024, sono state prenotate risorse per circa 360 milioni, quindi poco meno di 18 milioni a settimana. Dopo l’entrata in vigore della legge di bilancio, quindi dal 1° gennaio 2025 a ieri, le prenotazioni sono arrivate all’incirca a quota 125 milioni, con un’accelerazione che si è vista dopo la metà di gennaio quando il ritmo è salito quasi a 32 milioni a settimana.
Potrebbe non bastare comunque. D’altro canto trasferire i residui al vecchio e più semplice piano Transizione 4.0 non viene ritenuta una pista tecnicamente percorribile, perché quel programma riguarda solo la digitalizzazione delle imprese mentre Transizione 5.0 è entrato nel Pnrr dopo aver pattuito con la Commissione Ue, nell’ambito del piano RepowerEu, anche obiettivi “green” cioè di efficienza energetica. Ci sono varie ipotesi alternative in valutazione, per lasciare comunque all’industria le risorse che probabilmente resteranno disponibili. Una di questa è finanziare qualche nuova linea dei contratti di sviluppo per l’ “Industry net zero”, cioè tecnologie a zero emissioni nette.
C’è da dire che la macchina degli investimenti delle imprese è legata a doppio filo anche all’andamento di altre due misure. La prima considerazione da fare è che per gli incentivi del vecchio piano Transizione 4.0 il ministero dell’Economia ha fissato cautelativamente un tetto di 2,2 miliardi per il 2025 allo scopo di evitare che la natura automatica dell’agevolazione possa determinare oneri finanziari per lo Stato superiori a quanto atteso. C’è poi un rischio, sottolineato nei giorni scorsi dall’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio) nell’Analisi sui testi definitivi della manovra, relativo alla principale misura pro-investimenti inserita nella legge di bilancio, cioè l’Ires premiale. Oltre a essere limitata per il suo carattere temporaneo, evidenzia l’Upb, sarà condizionata da un meccanismo di accesso molto complesso visto che dovranno verificarsi contemporaneamente diverse condizioni. In generale, l’Upb osserva che la nuova Ires premiale, che peraltro riguarda una platea di imprese relativamente contenuta (circa 18mila), «non compensa completamente la riduzione di risorse destinate agli incentivi 4.0 e come già sottolineato sembrerebbe indebolire il legame tra age volazione e nuovi investimenti».
Fonte: Il Sole 24 Ore, Imprese e territori del 7 marzo 2025