Agricoltura, Mario Serpillo (UCI): "Prima industria verde d’Italia"

L’Unione Coltivatori Italiani (Uci) guarda al futuro forte di una storia fatta di lotte e conquiste. Promuove un’agricoltura capace di coniugare eccellenza produttiva, sostenibilità ambientale e responsabilità sociale. Dalle fattorie didattiche al turismo verde, fino al reinserimento lavorativo, l’organizzazione dimostra che la terra è ricchezza, inclusione e comunità. Telematica Italia ha intervistato il presidente dell’Uci Mario Serpillo per approfondire sfide, prospettive e priorità del settore agricolo italiano, con un focus sul progetto Coltivalia, recentemente lanciato dal Governo.

Presidente Serpillo, partiamo da un dato macroeconomico: quale contributo porta oggi il comparto agricolo al PIL nazionale e quali prospettive vede nei prossimi anni?

"Oggi l’agricoltura italiana contribuisce per circa il 2% al PIL nazionale: un dato che può sembrare modesto, ma che cambia radicalmente se guardiamo all’intera filiera agroalimentare (dalla trasformazione alla distribuzione) dove il peso supera il 15% dell’economia del Paese. Parliamo di un comparto che genera ogni anno oltre 60 miliardi di euro di valore aggiunto diretto e coinvolge circa un milione di imprese agricole, oltre a migliaia di attività dell’indotto. Il futuro del settore dipenderà dalla nostra capacità di tenere insieme competitività e sostenibilità. Da un lato, le aziende devono poter competere sui mercati globali senza essere schiacciate da costi energetici elevati, inflazione e barriere commerciali, in un contesto reso ancora più complesso dalla svalutazione del dollaro, che sta riducendo il valore del nostro export verso gli Stati Uniti, un mercato fondamentale e molto esigente. Dall’altro, serve accelerare la transizione ecologica, investendo con decisione in energie rinnovabili, digitalizzazione e innovazione produttiva. Se riusciremo a farlo, l’agricoltura non crescerà solo in termini economici, ma rafforzerà il suo ruolo di motore di sviluppo territoriale, presidio ambientale e garanzia di sicurezza alimentare. In fondo, è la prima vera industria verde d’Italia e deve essere sostenuta con politiche adeguate alla sua importanza strategica”.

Il MASAF ha recentemente lanciato il progetto Coltivalia. Come valuta questa iniziativa e in che misura può rappresentare un sostegno concreto agli agricoltori?

“Ogni iniziativa che mette al centro il mondo agricolo, come il progetto Coltivalia promosso dal MASAF, va accolta con favore. L’importante è che non resti soltanto uno slogan, ma si trasformi in uno strumento concreto, capace di portare risorse adeguate, semplificazione e formazione direttamente nelle mani di chi lavora ogni giorno nei campi. Il nostro settore ha bisogno di risposte chiare e immediate: accesso al credito, strumenti efficaci per la gestione del rischio climatico, valorizzazione delle filiere corte e promozione dei prodotti sui mercati internazionali. Coltivalia potrà davvero rappresentare un sostegno strategico se saprà coniugare innovazione e tradizione, mettendo a disposizione soluzioni digitali e tecnologiche, ma al tempo stesso difendendo il reddito dei piccoli e medi produttori che costituiscono la spina dorsale del Made in Italy agroalimentare. Una particolare attenzione deve essere rivolta alle aree interne, troppo spesso dimenticate ma tutt’altro che marginali: sono presidi strategici per il Paese, depositarie di saperi, biodiversità e pratiche agricole che da secoli sostengono l’identità e la sicurezza alimentare dell’Italia. Iniziative come questa hanno il merito di riportare l’attenzione sull’agricoltura, ma ora serve la volontà politica di accompagnarle con misure strutturali e di lungo periodo. Solo così potremo trasformarle da interventi episodici in un percorso stabile di crescita, resilienza e competitività per tutto il comparto”.

Negli ultimi tempi una parte consistente dei terreni agricoli è stata convertita alla produzione di energia rinnovabile. Qual è la sua opinione su questo fenomeno e quali rischi o opportunità intravede per l’agricoltura italiana?

“La transizione energetica è una sfida che condividiamo e che può rappresentare un’enorme opportunità anche per l’agricoltura. Ma non possiamo permettere che si trasformi in uno sfruttamento indiscriminato del territorio, a scapito dei nostri agricoltori, della produzione alimentare e del patrimonio paesaggistico che rende l’Italia unica al mondo. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una corsa incontrollata alla riconversione dei terreni agricoli in distese di pannelli fotovoltaici o in impianti a biomassa. Se questo processo non viene regolato con criteri chiari e lungimiranti, rischia di sottrarre superfici preziose alla produzione, ridurre il reddito delle imprese agricole e, soprattutto, compromettere il valore storico, culturale e produttivo dei nostri paesaggi rurali. Non possiamo sacrificare il suolo, con la sua fertilità, la sua storia e la sua funzione strategica, sull’altare della speculazione. Il paesaggio agricolo italiano è il risultato di secoli di lavoro, tradizioni, saperi e identità: è ciò che ha reso il nostro Paese una delle mete turistiche più ambite al mondo in tutte le sue declinazioni, dall’enogastronomia alla cultura. Distruggerlo per meri interessi finanziari sarebbe un errore irreversibile. Noi crediamo in un modello diverso: integrazione e non sostituzione. Le energie rinnovabili possono e devono essere una risorsa, ma solo se sviluppate in modo sostenibile, ad esempio con l’agrivoltaico intelligente che consente di produrre energia e continuare a coltivare o con impianti che valorizzino reflui zootecnici e sottoprodotti agricoli. Il rischio, senza regole chiare, è che i nostri campi diventino terreno di conquista per capitali esterni, interessati non a coltivare ma a occupare spazi. L’opportunità, invece, è trasformare gli agricoltori nei protagonisti della transizione, capaci di produrre energia pulita senza abbandonare la loro missione di custodi del paesaggio e del territorio. Per questo chiediamo un Piano nazionale per la tutela del paesaggio rurale, con linee guida precise: sì alle rinnovabili, ma solo se integrate con l’agricoltura e se in grado di difendere il nostro suolo, la nostra identità e il lavoro di chi, ogni giorno, fa dell’Italia un modello nel mondo”.

Quali sono oggi le principali criticità che gravano sul comparto agricolo italiano? Penso in particolare alla redditività delle aziende, all’accesso al credito e alla competitività sui mercati internazionali.

“C’è un problema ancora più profondo che spesso si tende a ignorare: la mancanza di manodopera e il ricambio generazionale ormai quasi fermo. Sono segnali di un malessere strutturale che mette a rischio la nostra sovranità alimentare, che non è un concetto astratto ma una necessità concreta. Oggi infatti l’approvvigionamento è garantito in gran parte da importazioni e da carni provenienti da allevamenti intensivi, spesso nelle mani di grandi multinazionali e con la complicità di chi dovrebbe prima difendere i nostri produttori. Le aziende agricole faticano a coprire costi sempre più alti di energia, materie prime e lavoro, mentre i prezzi riconosciuti restano troppo bassi. L’accesso al credito è difficile e scoraggia i giovani a investire, mentre la concorrenza internazionale cresce grazie a costi più bassi e standard meno rigorosi. Oggi esiste una congiuntura pericolosa tra potere delle multinazionali e fattori esterni, economici e climatici, che minacciano il nostro modello produttivo. Non si tratta di complotti, ma di realtà: senza una strategia nazionale di lungo periodo rischiamo di perdere il controllo della nostra filiera. Servono politiche strutturali che garantiscano reddito equo, sostegno ai giovani, competitività e tutela delle nostre eccellenze, perché l’agricoltura italiana resti un pilastro del Paese e non terreno di conquista”.

Presidente Serpillo, le agevolazioni pubbliche e i fondi di finanza agevolata rappresentano uno strumento fondamentale per sostenere la competitività delle imprese agricole. A suo avviso, le misure attualmente disponibili sono accessibili agli agricoltori o esistono ancora ostacoli burocratici che ne limitano l’efficacia?

“Le agevolazioni pubbliche e i fondi di finanza agevolata sono senza dubbio strumenti fondamentali per sostenere la competitività delle imprese agricole, soprattutto in una fase storica segnata da crisi energetiche, cambiamenti climatici e instabilità dei mercati. Tuttavia, spesso queste misure sono di difficile accessibilità per gli agricoltori. Gli ostacoli burocratici rimangono un freno pesantissimo: bandi complessi, procedure lente, richieste documentali sproporzionate rispetto alle dimensioni delle aziende agricole, che in Italia sono in larga parte piccole e a conduzione familiare. Così, ciò che dovrebbe essere un sostegno diventa un percorso a ostacoli, dove a beneficiare sono le realtà più strutturate. Noi chiediamo da tempo una semplificazione radicale, con procedure chiare e tempi rapidi, perché ogni euro messo a disposizione degli agricoltori deve arrivare a destinazione senza dispersioni. L’obiettivo non è distribuire risorse a pioggia, ma garantire investimenti mirati su innovazione, sostenibilità e competitività, affinché le imprese possano affrontare le sfide dei mercati internazionali senza essere penalizzate da un sistema che ancora oggi premia la burocrazia e non il lavoro sul campo. Serve un vero patto tra Stato e agricoltori, che trasformi le agevolazioni da ostacolo burocratico a leva di sviluppo, perché solo così il settore agricolo potrà essere protagonista del futuro economico e ambientale dell’Italia”.

Come giudica le politiche europee e nazionali in materia di agricoltura? Gli strumenti della PAC e le misure italiane rispondono adeguatamente ai bisogni del settore?

“Tutto quello che stiamo analizzando nasce da un problema di fondo: la continua sottovalutazione dell’agricoltura e dell’agroalimentare e, con essa, della necessità di garantire davvero la sovranità alimentare del Paese, di preservare le risorse naturali e di contrastare fenomeni crescenti come l’antibiotico-resistenza, che hanno un impatto diretto sulla salute pubblica e sulla sicurezza alimentare. La Politica Agricola Comune resta uno strumento fondamentale per sostenere il settore europeo e italiano, perché assicura risorse, stabilità e un quadro normativo condiviso. Tuttavia, gli strumenti oggi a disposizione non rispondono pienamente alle esigenze reali delle nostre aziende. La PAC continua infatti a basarsi su criteri troppo uniformi, che non tengono conto delle specificità del nostro Paese: un tessuto produttivo fatto soprattutto di piccole e medie imprese, di aree interne e montane che necessitano di misure mirate e di produzioni che puntano sulla qualità e sull’eccellenza. A questo si aggiunge il rischio che una parte significativa delle risorse venga assorbita più dalla burocrazia che dal sostegno concreto agli agricoltori. Anche a livello nazionale le misure vanno spesso nella giusta direzione, ma risultano frammentarie e di corto respiro, quando invece servirebbe una strategia strutturale capace di affrontare i nodi veri: redditività, ricambio generazionale, gestione del rischio climatico e accesso al credito. Serve un cambio di passo deciso: una PAC più flessibile e una strategia nazionale che mettano davvero al centro gli agricoltori italiani, con regole semplici, meno burocrazia e investimenti mirati alla competitività, alla tutela del suolo e del paesaggio e alla difesa della nostra sovranità alimentare. Solo così l’agricoltura potrà smettere di essere assistita e tornare a essere protagonista dello sviluppo del Paese e dell’Europa”.

L’agricoltura è chiamata a conciliare tradizione e innovazione. In che modo la transizione digitale e le nuove tecnologie possono aiutare le imprese agricole a restare competitive senza snaturare il rapporto con il territorio?

“La transizione digitale e le nuove tecnologie rappresentano un’opportunità straordinaria per l’agricoltura, ma vanno calate nella realtà concreta dei nostri territori. Penso soprattutto alle aree interne e rurali, dove si gioca una partita decisiva: lì gli agricoltori cercano di restare e di continuare a presidiare il territorio, ma troppo spesso lo fanno in condizioni di isolamento, con reti di servizi sempre più carenti e infrastrutture insufficienti. Strumenti come l’agricoltura di precisione, i sistemi di monitoraggio climatico, le piattaforme digitali per la gestione delle filiere possono davvero aumentare la competitività e ridurre i costi. Ma senza una rete di servizi efficiente (connessione veloce, scuole, sanità, trasporti), le tecnologie da sole non bastano. Al contrario, rischiano di accentuare le disuguaglianze, lasciando indietro proprio chi presidia i territori più fragili. Per questo la sfida è conciliare innovazione e tradizione: le tecnologie devono essere un supporto al lavoro agricolo e non un sostituto, uno strumento per valorizzare il rapporto con la terra e non per snaturarlo. Solo così possiamo invertire la tendenza allo spopolamento e dare agli agricoltori delle aree interne la possibilità di restare, crescere e diventare protagonisti di una nuova stagione di sviluppo sostenibile. Serve un piano nazionale che unisca digitalizzazione e servizi essenziali, perché senza persone che restano non c’è innovazione che tenga e non c’è futuro per i nostri territori”.

Il tema del lavoro agricolo rimane centrale. Quali sono le difficoltà più sentite dai lavoratori del settore, sia in termini di tutela che di valorizzazione professionale?

“Il lavoro agricolo è il cuore pulsante del nostro comparto, ma rimane troppo spesso sottovalutato e poco tutelato. Le difficoltà principali riguardano da un lato la scarsa valorizzazione professionale: il lavoro nei campi richiede competenze sempre più elevate, dalla gestione delle macchine all’uso delle tecnologie digitali, ma a fronte di ciò non sempre è riconosciuto un reddito adeguato o un giusto status sociale. Dall’altro, resta aperto il tema della tutela dei lavoratori, a partire dalla sicurezza. L’agricoltura continua purtroppo a registrare un numero elevato di incidenti, molti dei quali mortali. Questo è inaccettabile. Servono più controlli, più formazione e incentivi per la messa in sicurezza dei macchinari, perché la transizione non può essere solo digitale o ambientale: deve essere anche una transizione della sicurezza sul lavoro. Infine, bisogna investire sul ricambio generazionale e sulla formazione continua, per far sì che l’agricoltura diventi un settore attrattivo e moderno, capace di dare opportunità ai giovani e di integrare lavoratori stranieri in un quadro di piena legalità e diritti garantiti. Il nostro obiettivo è chiaro: fare in modo che chi lavora la terra non sia mai considerato un anello debole, ma un protagonista da tutelare e valorizzare, perché senza dignità e sicurezza del lavoro non c’è futuro per l’agricoltura italiana”.

Infine, uno sguardo al futuro: quali sono, secondo lei, le priorità su cui l’Unione Coltivatori Italiani intende concentrare il proprio impegno nei prossimi anni?

“Lo sguardo al futuro per noi è molto chiaro: dobbiamo concentrare le energie su tre grandi priorità. La prima riguarda le aree interne. Sono territori che custodiscono il paesaggio, le tradizioni e la biodiversità, ma che rischiano lo spopolamento perché mancano servizi essenziali come scuole, sanità, trasporti e connessioni digitali. Se vogliamo che gli agricoltori restino, serve un piano che riporti vita e opportunità in queste zone. La seconda priorità è la formazione dei giovani. Oggi fare agricoltura significa usare tecnologie, conoscere i mercati, affrontare il cambiamento climatico. Non possiamo lasciare i ragazzi soli: servono percorsi di formazione mirati, accesso al credito e strumenti per aiutarli a trasformare un’idea in un’impresa. Infine, dobbiamo rafforzare il supporto alle piccole imprese agricole under 35. Sono loro il futuro del settore, soprattutto nelle aree rurali. Ma senza misure dedicate rischiamo di spegnere il loro entusiasmo. Occorre semplificare l’accesso ai fondi, velocizzare i bandi e creare reti di collaborazione che permettano alle aziende giovani di crescere insieme, condividendo mercati e strumenti. In sintesi, il nostro impegno è quello di costruire un patto per i giovani e per le aree interne, perché solo così l’agricoltura potrà restare competitiva senza perdere la sua anima e il suo legame con i territori”.

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