La proposta di revisione del PNRR, approvata dalla Cabina di regia il 26 settembre 2025, ridisegna obiettivi e traguardi per consentire all’Italia di rispettare la scadenza del 2026. Essa nasce dall’esigenza di aggiornare obiettivi, tempistiche e risorse del Piano in base ai cambiamenti economici, geopolitici e sociali degli ultimi anni. L’Italia ha richiesto alla Commissione Europea una rimodulazione degli interventi, includendo anche il capitolo REPowerEU, per rafforzare la transizione energetica, migliorare l’efficienza degli investimenti e concentrarsi sui progetti realmente realizzabili entro il 2026. La revisione punta a ottimizzare l’uso dei fondi, semplificare l’attuazione e garantire un impatto concreto su imprese, territori e pubblica amministrazione. Per capire meglio rischi e opportunità, abbiamo intervistato Carmine Calvanese, direttore tecnico di Telematica Italia, società specializzata nella consulenza e supporto a enti pubblici e imprese sui processi di digitalizzazione, innovazione e accesso alla finanza agevolata.
Direttore Calvanese, qual è la sua opinione generale sulla revisione del PNRR proposta dal Governo e condivisa con la Commissione europea?
“La considero una scelta inevitabile. La complessità originaria del Piano rischiava di trasformarsi in un boomerang: tante misure, spesso poco coordinate, con tempi impossibili. Oggi la priorità è concentrare risorse e sforzi sugli interventi realizzabili, con impatti concreti e misurabili per territori, imprese e cittadini”.
Il documento parla di riduzione delle misure non attuabili, rafforzamento di quelle più efficaci e introduzione di strumenti finanziari. Qual è il nodo principale secondo lei?
“Il nodo vero è la concretezza operativa. Le risorse ci sono, ma bisogna garantire capacità di spesa ed esecuzione. Rafforzare gli interventi già avviati è la strada giusta; semplificare i canali di accesso per imprese e PA è fondamentale. Gli strumenti finanziari possono attrarre investimenti privati, ma vanno disegnati in modo semplice e inclusivo, non come labirinti burocratici”.
Molte misure del PNRR riguardano la transizione energetica e digitale, spaziando tra diversi contesti: le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), i contratti di filiera e l’agricoltura con il Fondo Agrisolare. Cosa ne pensa di questi strumenti e quale impatto possono avere su territori, imprese ed enti pubblici?
“Ritengo che queste misure siano pilastri strategici, ma il loro successo dipende da due condizioni: integrazione con il digitale e semplificazione degli incentivi. Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) rappresentano un’opportunità straordinaria per ridurre i costi energetici di enti locali, imprese e famiglie, oltre che per promuovere l’autonomia energetica dei territori. Tuttavia, la loro attuazione oggi è frenata da complessità burocratiche e dalla difficoltà di accesso agli incentivi, che risultano frammentati e poco chiari. Serve un modello più semplice e standardizzato. Il Fondo Agrisolare può avere un impatto enorme sul settore agricolo, consentendo la produzione di energia rinnovabile direttamente nelle aziende e riducendo i costi di approvvigionamento. L’efficacia, però, cresce se integrato con sistemi di monitoraggio intelligente dei consumi, piattaforme di gestione e modelli predittivi basati sui dati. I Contratti di filiera sono strumenti preziosi per rafforzare la competitività del settore agroalimentare. La vera innovazione sarà renderli “smart”, con piattaforme digitali per la tracciabilità dei prodotti, il controllo delle filiere e la certificazione della qualità. In generale, la transizione verde e la transizione digitale non devono essere viste come binari paralleli, ma come processi sinergici. Una CER digitale o un contratto di filiera tracciato con blockchain hanno un valore molto più forte di interventi isolati. Il nodo critico, oggi, resta la complessità degli incentivi: i bandi hanno regole diverse, piattaforme poco intuitive e procedure di rendicontazione onerose. Questo rischia di rallentare l’attuazione delle misure e scoraggiare soprattutto le PMI e gli enti territoriali minori, che hanno meno risorse amministrative. Se riusciremo a semplificare l’accesso e a unificare i processi di rendicontazione, queste misure potranno davvero trasformarsi in strumenti di crescita economica, sostenibilità ambientale e innovazione sociale”.
Come il PNRR potrà sostenere oggi le imprese del Sud e delle ZES?
“Il sostegno alle imprese meridionali attraverso il PNRR rappresenta uno strumento concreto di rilancio produttivo. In particolare, il credito d’imposta per il Mezzogiorno e la il credito d’imposta per la ZES Unica Sud sono stati eccellenti incentivi per stimolare gli investimenti produttivi nelle regioni meridionali. Oggi si parla di rifinanziare queste due misure attraverso la rimodulazione dei fondi PNRR. Le linee principali sono:
- Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi nelle regioni del Sud;
- Credito d’imposta per investimenti nella Zona Economica Speciale (ZES) unica.
Questi strumenti agevolativi hanno avuto successo grazie alla loro semplicità, immediatezza e consolidata conoscenza presso il tessuto imprenditoriale. Inoltre, garantiscono una forte complementarità con i Fondi di Coesione 2021-2027 e con altre misure PNRR volte a sostenere la transizione verde e digitale. È importante sottolineare che la ZES Unica Sud non riguarda solo le sei regioni meridionali (Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania), ma comprende anche l’Abruzzo, già regione in transizione, e – con l’ultima estensione – anche le due nuove regioni in transizione: Marche e Umbria. Pertanto, il rifinanziamento della misura potrà produrre una ricaduta significativa non solo nel Mezzogiorno, ma anche in alcune aree del Centro Italia, ampliando l’impatto territoriale della politica di coesione. Vorrei ribadire che il Credito d’imposta Mezzogiorno ha rappresentato un’eccezionale leva per tutte le imprese del Sud, indipendentemente dalla dimensione o dalla forza economica. La sua reintroduzione, chiaramente da definire con modalità precise, rappresenta un’ottima notizia, soprattutto per quelle aziende che negli ultimi due anni hanno visto ridotte le proprie opportunità di investimento a causa della soglia minima di accesso di 200.000 euro prevista per il credito d’imposta ZES. In conclusione, quindi, la riproposizione di queste misure, se ben calibrata e tempestiva, può rilanciare gli investimenti, riequilibrare i divari territoriali e rafforzare la competitività delle imprese non solo nel Sud ma anche nelle regioni in transizione del Centro Italia, in coerenza con la strategia nazionale di crescita”.
Molto si è discusso della Transizione 5.0 e della continuità delle riforme e degli incentivi oltre il 2026. Quali sono le principali differenze con il modello 4.0, come sarà rimodulata dal 2026 e come possiamo garantire che le misure continuino ad avere impatto anche in futuro?
“La Transizione 5.0 era stata pensata come un vero salto culturale rispetto al modello 4.0. Le differenze principali sono:
- La Transizione 4.0 ha incentivato soprattutto l’acquisto di macchinari e software per digitalizzare la produzione.
- La Transizione 5.0, invece, mirava a premiare gli investimenti che generano riduzione dei consumi energetici, efficienza ambientale e digitalizzazione dei processi produttivi. Non si trattava più di acquistare macchinari, ma di innovare in modo sostenibile, ponendo le persone al centro.
Tuttavia, l’eccesso di burocrazia ha notevolmente ridotto le potenzialità della misura, limitando l’accesso delle imprese agli incentivi: ad oggi sono stati utilizzati solo 2,1 miliardi di euro sui 6,3 miliardi previsti dal Programma Transizione 5.0. Questo scenario ha reso necessario intervenire con una rimodulazione che potenzi gli strumenti più efficaci, semplifichi l’accesso e integri meglio sostenibilità e digitalizzazione. La rimodulazione della Transizione 5.0, prevista dal 2026, si inserisce in un contesto di revisione strategica del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il Governo italiano ha deciso di concentrare le risorse su misure che abbiano dimostrato una maggiore capacità di assorbimento e impatto sul sistema produttivo nazionale. In particolare, la misura Transizione 5.0, pur essendo stata concepita per stimolare la doppia transizione digitale e verde, ha registrato un utilizzo inferiore alle aspettative, con solo 2,1 miliardi di euro su 6,3 miliardi prenotati fino a marzo 2025. Di conseguenza, il Governo ha deciso di riallocare le risorse destinate alla Transizione 5.0 verso il potenziamento della misura Transizione 4.0, che ha mostrato una maggiore capacità di assorbimento e ha ricevuto risorse aggiuntive dal bilancio dello Stato. Questa decisione si inserisce in un'operazione complessiva di revisione finanziaria che riguarda 34 misure del PNRR, ammontando a 14,15 miliardi di euro, circa il 7,3% della dotazione totale di 194,4 miliardi. La nuova misura che integrerà gli aspetti della Transizione 4.0 e 5.0 sarà finanziata con risorse nazionali e avrà l'obiettivo di supportare la doppia transizione digitale e verde. Sebbene i dettagli specifici siano ancora in fase di definizione, si prevede che la nuova misura mantenga un format semplice, con due sole aliquote, e una durata estesa fino al 2026. Inoltre, saranno aggiornati gli allegati tecnici per includere i nuovi beni e tecnologie emergenti. Per garantire la continuità oltre il 2026, è fondamentale che le nuove misure siano integrate con i fondi strutturali europei, centrati su obiettivi di green deal, resilienza energetica e competitività industriale. Inoltre, è essenziale rafforzare le competenze digitali e manageriali nelle Pubbliche Amministrazioni e nelle imprese, al fine di assicurare una gestione efficace e sostenibile degli incentivi”.
Quali rischi individua per l’Italia nella fase attuale di attuazione del PNRR e quali sono le principali difficoltà operative per enti e imprese legate alla semplificazione delle procedure?
“In questa fase, l’Italia si trova ad affrontare rischi significativi che potrebbero compromettere l’efficacia del PNRR. Il primo riguarda la disparità territoriale: senza adeguato supporto tecnico, molte aree del Sud e delle regioni interne rischiano di restare indietro rispetto al resto del Paese, creando un divario nella capacità di utilizzare le risorse disponibili. Il secondo rischio è la spesa inefficiente: se i fondi vengono impiegati solo per “fare presto” e non per “fare bene”, il ritorno economico e sociale sarà limitato. Infine, c’è la mancanza di continuità: se il PNRR non viene inserito all’interno di una strategia di lungo periodo, dal 2027 rischiamo di avere solo progetti isolati, incapaci di generare un impatto duraturo. Questi rischi si accompagnano a difficoltà operative concrete. Per gli enti territoriali, spesso mancano uffici dedicati alla gestione dei progetti, competenze tecniche specifiche e supporto continuo, rallentando così l’esecuzione dei lavori e la corretta rendicontazione. Per le imprese, soprattutto le PMI, i processi di accesso e rendicontazione risultano complessi e disomogenei tra le diverse misure. Alcune piattaforme digitali, in primis ReGIS, presentano difficoltà di navigazione, errori nel caricamento dei documenti e lentezza nella validazione delle informazioni, riducendo l’efficacia degli incentivi. Per affrontare efficacemente queste difficoltà, è fondamentale intervenire su più fronti in maniera coordinata. In primo luogo, occorre garantire procedimenti chiari e uniformi, che rendano l’accesso ai fondi trasparente e semplice, evitando confusione e differenze interpretative tra enti e imprese. In secondo luogo, è indispensabile offrire un supporto tecnico costante, con assistenza continua e percorsi di formazione specifici, sia per le amministrazioni locali sia per le aziende, così da aumentare la capacità di gestione dei progetti e la corretta rendicontazione. Infine, la semplificazione della rendicontazione deve diventare una priorità: l’adozione di moduli standardizzati e strumenti digitali integrati permetterà di ridurre errori, ritardi e duplicazioni, rendendo più efficiente l’intero processo e assicurando che le risorse del PNRR siano impiegate in modo efficace e produttivo”.
“Oggi dobbiamo scegliere tra rincorrere scadenze o costruire futuro”. Conclude così la sua intervista Calvanese. “Credo che sia possibile fare entrambe le cose, a patto che il Piano venga gestito con rigore, semplificazione e innovazione, mettendo al centro la concretezza degli interventi, la capacità tecnica e il sostegno alle imprese e ai territori”.