L’Osservatorio Artico nasce dalla volontà di dare risalto a un tema che trova poco spazio nel panorama di informazione italiano. Artico e Polo Nord sono spesso visti come temi lontani, di carattere ambientale. Il cambiamento climatico in atto a queste latitudini, invece, riguarda molto da vicino anche l’Italia e l’Unione Europea, sotto molti punti di vista: economia, difesa, geopolitica, trasporti e le imprese che vi operano, di cui moltissime italiane.
Telematica Italia ha intervistato il giornalista Leonardo Parigi, fondatore e direttore dell’Osservatorio Artico il quale ci ha parlato della regione più a Settentrione del mondo, l'Artico, dal punto di vista ambientale e dal punto di vista imprenditoriale.
Direttore Leonardo Parigi, di cosa si occupa l’Osservatore Artico e cosa rappresenta l’Artico dal punto di vista dell’ecosistema marino, terrestre e ambientale?
“Osservatorio Artico è la prima testata italiana che si occupa a tutto tondo dell’Artico e della regione polare, cercando di dare una visione olistica di questa regione, così particolare e complessa. Osservatorio Artico è un’avventura iniziata nel 2019, che oggi conta oltre 30 collaboratori fissi in tutta Italia, in Europa e sul territorio artico, e che punta a promuovere una conoscenza più approfondita di questo tema anche per i parlanti lingua italiana. Per farlo, raccontiamo quotidianamente tutti gli aspetti principali di questa particolare porzione di mondo, dalla ricerca scientifica all’economia, dagli investimenti in settori chiave come le energie rinnovabili e l’industria marittima, agli sconvolgimenti politici. Le dichiarazioni del nuovo presidente statunitense, Donald Trump, circa il fatto che la Groenlandia possa diventare un nuovo stato americano, non ci devono sorprendere. A prescindere da cosa accadrà, è un fatto che la Groenlandia, che è anche l’isola più grande del mondo, sia emblematica in questa fase ambientale e di cambiamento. I 57.000 abitanti dell’isola, infatti, sono formalmente parte anche del Regno di Danimarca, che comprende non solo i territori europei che conosciamo, ma anche le Isole Fæe Øer e, appunto, la Groenlandia. Quest’ultima è uno stato semi-autonomo, ma non può decidere in materia di sicurezza e di difesa, e la sua economia è praticamente assente. Gli abitanti vengono sovvenzionati proprio da Copenhagen, ma è chiaro che ci siano problemi sociali e culturali ben presenti. Qui si inserisce la proposta di Trump: sfruttare le prossime elezioni politiche a Nuuk per provare a dividere ulteriormente i due territori, puntando sul fatto che a quel punto la Groenlandia possa cercare un alleato potente come gli Stati Uniti. Ma è un tema molto complicato, e ci sono grandi sfide di cui tenere conto. Come Osservatorio Artico, lavoriamo proprio su questi punti, e cioè sul portare tematiche che, partendo dall’ambiente, diventano poi temi-chiave in ottica politica, economica e sociale”.
Quali sono le principali sfide ambientali che l'Artico sta affrontando a causa del cambiamento climatico?
“Secondo l’IPCC, e cioè l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, l’Artico è colpito tre volte di più dal surriscaldamento globale. Significa che in questo momento, e non in un futuro lontano, le temperature estive medie alle isole Svalbard stanno registrando fino a 2,5° gradi in più delle medie storiche. Sembra poco, ma è un dato enorme, che impatta inevitabilmente anche sulla disponibilità del ghiaccio marino artico. Se dovessimo riassumere, le tre grandi sfide ambientali dell’area (e quindi di tutto il mondo, a conseguenza), sono la sempre maggiore diminuzione dei ghiacci marini artici nelle stagioni di primavera ed estate, lo scioglimento del permafrost (e cioè di quel terreno che è congelato da almeno 10.000 anni, e che sta rapidamente sciogliendosi, facendo tornare alla luce virus, batteri e colossali bolle di metano), e la desalinizzazione delle correnti marine. Più fa caldo, più si sciolgono i ghiacci anche della calotta glaciale groenlandese, che immette in mare ogni anno milioni di metri cubi di acqua dolce, modificando quindi la salinità dei mari. È tutto un gioco di collegamento, per cui da un singolo dato si arriva al fatto che la Pianura Padana possa finire sott’acqua entro la metà del secolo. Per questo ci occupiamo di questi temi, perché è importante capire che l’Italia è solo geograficamente distante dall’Artico, ma è, di fatto, un Paese costiero della regione come la Norvegia, un atollo del Pacifico o le coste del Madagascar. Siamo tutti sulla stessa barca”.
Direttore, ci sono imprese italiane che investono e operano nell’Artico, dal punto di vista delle tecnologie verdi, infrastrutture sostenibili, ricerca scientifica?
“Moltissime, in realtà. L’Italia ha una sua ‘strategia nazionale per l’Artico’ ed esprime un inviato speciale, di sede alla Farnesina, che riunisce il cosiddetto Tavolo Artico. Questa riunione periodica vede protagonisti i centri di ricerca scientifica, le università, ma anche attori come Fincantieri, Eni, il Gruppo Leonardo e tante altre realtà, pubbliche e private. Ma se consideriamo le capacità nazionali in termini di servizi, cantieristica navale, blue economy e applicazioni satellitari, l’Italia è già molto presente nell’area, anche grazie alla presenza della Stazione Artica Dirigibile Italia, presso Ny Ålesund, alle Svalbard. Una base scientifica che in pochi paesi possono esprimere, e che ci vede protagonisti già da oltre vent’anni. Inoltre, siamo membri osservatori dell’Arctic Council dal 2013, l’unico foro internazionale che riunisce tutte le nazioni artiche, e che ha un potere decisionale ampio, seppur limitato nelle materie. Le aziende italiane sono presenti anche tramite acquisizioni e società controllate, come ad esempio Vard (Gruppo Fincantieri)”.
Secondo lei, quali sono le opportunità di finanziamento agevolato per le imprese che operano nell’Artico?
“Tramite il PRA (Programma ricerca in Artico), l’Italia finanzia diverse attività in ambito di ricerca scientifica, e sono numerose le aziende che poi vengono interpellate e coinvolte nei processi di creazione di strutture, infrastrutture, laboratori e pratiche, utili alla strategia complessiva della ricerca scientifica. Oltre alle opportunità di finanziamento, occorre considerare con una certa rilevanza i vari progetti in ambito europeo volti a re-industrializzare aree interne della Scandinavia. In Svezia, ad esempio, negli ultimi anni ci sono stati ingenti investimenti e agevolazioni per l’installazione di windfarm offshore e per strutture di generazione di energie rinnovabili, con il risultato, sbalorditivo, di avere un costante surplus. Molte aziende high-tech stanno guardando a queste aree della Svezia settentrionale per impiantare fabbriche e data center, potendo quindi utilizzare energie green, un raffreddamento naturale e molti benefici fiscali. Ma manca il personale specializzato, ragion per cui Stoccolma sta promuovendo un’ampia azione di reclutamento di manodopera molto specializzata per ripopolare determinate aree, insegnando lo svedese. Questo è solo uno degli esempi per cui esistono numerose opportunità di finanziamento diretto e indiretto, tramite progetti europei, anche per tante aziende e realtà italiane”.
Le grandi potenze del mondo come Cina, Russia e soprattutto Usa vogliono mettere le mani sulla Groenlandia, terra danese. Perché questo interesse dal punto di vista geopolitico?
“L’Artico rappresenta un nuovo pianeta, tanto quanto Marte. Non esistono trattati internazionali che legiferino sull’Artico, perché banalmente non ce ne siamo mai occupati, visto che era un mare ghiacciato, impossibile da gestire, da affrontare o da sfruttare. La Russia ottiene il 14% del suo Pil dallo sfruttamento delle risorse del 'suo' artico, e quindi questo già ci fa capire perché Mosca lo consideri un territorio vitale. Ma per la Russia, l’Artico è una dimensione culturale e nazionale di grande importanza. Tramite la militarizzazione della regione, e al suo investimento nella Northern Sea Route (e cioè la rotta marittima commerciale che, passando al largo delle sue coste artiche, taglierebbe di circa 12 giorni in media il tragitto classico che oggi vede le navi partire dalle coste asiatiche per arrivare in Europa), Mosca afferma il principio di essere un assoluto protagonista dell’area, e non solo. Ma non possiamo più considerare solo petrolio e gas, come risorse verso cui puntino gli stati che si contendono uno spazio nell’Artico. Per la Cina significa nuove rotte commerciali (e quindi anche un possibile smarcamento rispetto ai colli di bottiglia controllati dagli Stati Uniti), investimenti, e un enorme frigorifero di pesce per la sua ampia popolazione. Ma dobbiamo pensare al fatto che praticamente tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali siano focalizzate sull’Artico, perché rappresenta una sfida che possiamo vincere solo se agiamo tutti insieme, a livello ambientale. Ma è anche una grande opportunità commerciale ed economica per gli Stati costieri, che oggi, diritto internazionale alla mano, sono gli unici proprietari dell’area, e difficilmente ne faranno a meno”.