Più controllo rispetto al passato. Ma anche qualche incertezza in più tra gli investitori. Il nuovo credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo ha seminato preoccupazione tra le multinazionali, per effetto dei paletti che il ministero dello Sviluppo economico intende porre quando l’attività di ricerca è commissionata dalla casa madre estera alla società italiana senza che, però, ci sia una reale ricaduta economica nel nostro paese.
La legge di bilancio ha cancellato un comma inserito nel 2017 che metteva nero su bianco la possibilità di accedere al credito d’imposta per attività commissionate dall’headquarter straniero di una multinazionale. Un comma che i tecnici del ministero dello Sviluppo ritengono superfluo in quanto la nuova definizione della norma è considerata di per sé sufficiente ad ammettere al beneficio fiscale le multinazionali che commissionano un progetto di ricerca che sia a tutti gli effetti organizzato e finanziato dalla corrispondente società italiana con una sua linea di budget, propri laboratori, propri ricercatori. In altre parole, si vuole evitare una corsa al mero vantaggio fiscale da parte delle multinazionali perché in passato non sarebbero mancati casi di triangolazioni in cui la società italiana era un tassello fittizio e la ricerca finale veniva poi svolta all’estero. Abusi che al Mise si vorrebbero arginare. Nessuna esclusione invece - è la linea del ministero - se le multinazionali, nel rispetto delle linee guida Ocse («Manuale di Frascati»), commissionano un progetto a una società italiana che se ne assume il rischio finanziario.
Questo chiarimento potrebbe essere inserito nel decreto interministeriale che conterrà tutte le regole applicative del nuovo bonus ricerca - va emanato a giorni, entro febbraio - oppure nelle Faq, le risposte ai quesiti che periodicamente vengono pubblicate sul sito del Mise. Il decreto (o una più ampia Guida che lo accompagnerà) probabilmente chiarirà anche un aspetto cruciale della norma, cioè quali sovvenzioni e contributi già ricevuti dall’azienda per lo stesso tipo di spesa vanno sottratti dalla base di calcolo del credito d’imposta.
Basteranno i chiarimenti del Mise a superare il clima di incertezza che si è generato tra le multinazionali? A metà gennaio il premier Giuseppe Conte ha incontrato i manager di una ventina delle multinazionali che investono in Italia per ribadire l’attenzione agli investimenti esteri. Ma la confusione sul nuovo credito di imposta, sottolinea un manager impegnato da anni nella ricerca in Italia per conto di una grande impresa straniera, non va proprio in questa direzione e sembra semmai frutto di uno scetticismo che da sempre accompagna i Cinque Stelle nell’approccio con le multinazionali. Tra i motivi di incertezza si segnala anche la relazione tecnica che accompagna la norma, nel punto in cui in modo troppo tranchant, senza fare distinguo, sottolinea che «vengono escluse le spese in R&S commissionate dall’estero», quantificandole nel 23% del totale delle spese di ricerca effettuate in Italia. Nella relazione, questa esclusione ha come effetto la riduzione della copertura finanziaria necessaria per circa 203 milioni. Anche questo elemento, secondo il Mise, non sarà però dirimente e in sede di eventuale confronto con l’agenzia delle Entrate varrà come detto il rispetto della regola base: la ricerca commissionata dall’estero è ammessa al bonus purché sia coinvolta a tutti gli effetti, anche finanziariamente, la filiale italiana.
Fonte: Il Sole 24 Ore, Primo Piano del 21 febbraio 2020